Denominazione o brand? Vitigno o territorio di provenienza?

Su cosa deve puntare oggi un'azienda vitivinicola per costruire il proprio valore in un mercato che richiama anche salute, benessere, sostenibilità e artigianalità?


Al contrario di qualche decennio fa, oggi piccolo è bello e anche alle cantine di più grandi dimensioni è richiesta quell'empatia che viene esaltata dalla territorialità, dal lavoro in vigna e in cantina, dalle persone. Sono i valori che guidano il racconto lungo la "customer journey", il percorso che il consumatore fa dal momento in cui entra in contatto con un'etichetta a quello in cui consuma il suo contenuto.


Davanti a uno scaffale il consumatore inizia dalla regione, poi va al territorio, alla denominazione, al vitigno e, solo alla fine, alla cantina. Quindi, meno brand, più territorio anzi brand territoriali con una forte identificazione riconoscibile.  Un marchio collettivo e una narrazione territoriale creano quel valore del territorio di origine che ricade sui singoli marchi.


Lo dimostrano gli esempi virtuosi, non solo francesi, ma anche italiani: il Chianti Classico, il Barolo, l'Amarone, che sono poi i vini maggiormente riconosciuti anche all'estero, Cina inclusa.


Rispetto alle nuove tendenze del salutismo, si beve sempre meno ma si beve meglio, anche il boom dei vini naturali nasce da questo, si ricercano vini meno lavorati, con meno alcol e meno solfiti, espressioni "pure" di un territorio.

Il vino sempre più è consumato per esaltare l'esperienza gastronomica e la convivialità. Si beve, per stare bene.


Infine, l'esperienza e il coinvolgimento devono far parte della comunicazione. L'esperienza diretta con la visita in cantina, ma anche l'esperienza in "differita" tramite le nuove tecnologie che permettono l'accesso a informazioni, alla loro condivisione, a cui si aggiungono i servizi di e-commerce o delivery.